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Il Taccuino "colo artes"

Centro informazione, Arte, Cultura e Comunicazione visiva.

martedì 16 dicembre 2008

B-SIDE ( II ) - by colo artes

01.II
TRACCE DI VITA: alcune opere di Rachel Whiteread
Rachel Whiteread nasce a Londra nel 1963, si diploma in pittura e scultura, e dalla fine degli anni ‘80 realizza le sue opere usando come calchi oggetti reali presi dalla vita quotidiana: tavolini, porte, armadi, vasche da bagno, letti, ecc. Quello che ne viene fuori è un inventario domestico ‘al negativo’, gli stessi oggetti cioè ri-presentati al rovescio.
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1 Installazione della mostra ‘Walls, doors, floors and stairs’, Kunsthaus Bregenz 2005

2 R. Whiteread, In Out – IX, 2004 (gesso con intelaiatura d’alluminio)
Un’operazione che filtra il concetto di ready-made (vedi Duchamp, dal 1913) e le ricerche di Bruce Nauman che a metà degli anni ’60 dava forma cementizia allo spazio vuoto sotto una sedia.
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Bruce Nauman, A cast of the space under my chair, 1965-68 (cemento)
Ma ciò che distingue l’opera della Whiteread è questa sorta di ‘rivoluzione silenziosa’ che sembra essere scatenata da un forte sentimento di affezione verso le cose e lo spazio in cui stanno, e da un desiderio urgente di interrogarsi sul senso del tempo (e dello spazio) e sugli effetti provocati dalla perdita di questo senso nella nostra vita.
Allora risulta che mentre noi ci sforziamo a pulire, rinnovare, lucidare e far splendere le superfici delle cose che usiamo, l’artista ricalca invece i segni dell’usura, le imperfezioni, le mancanze dimostrando che le cose sono sensibili e registrano nostro malgrado la vita (mentre noi pensiamo ad altro!). Ma si tratta di segni anonimi, impersonali, che non dicono il nostro nome, non svelano l’identità come invece fanno le impronte digitali, e quindi non ci interessano.
Si tratta di un servizio automatico e gratuito offerto dalle cose, una specie di archivio universale del nostro fragile passaggio che venendo selezionato, ricalcato e ri-attivato in un nuovo contesto si costituisce come opera d’arte.
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R. Whiteread, Yellow Bed, 1991 (gesso odontotecnico)
L’intervento può allargare il suo campo di ricerca, assumendo dimensioni via via più ampie: la stanza in cui siamo chiusi, la casa che abitiamo, il quartiere e la città in cui viviamo.
Ad ognuna di queste scale di grandezza si collega un ambito d’indagine critica che dal particolare s’allarga alla realtà globale: la memoria personale e collettiva, i rapporti sociali, la gestione speculativa del suolo pubblico, il sistema consumistico, la comunicazione virtuale, ecc., ovviamente non presi in sé ma connessi in un unico tessuto.
Con Ghost, opera del 1990, l’artista materializza il vuoto che c’è dentro una stanza (in questo caso un interno di tipica casa vittoriana londinese) e lo mostra a sua volta all’interno di uno spazio espositivo. Farà la stessa cosa con il calco dell’ufficio di George Orwell, lavoro realizzato su commissione della BBC nel 2003.
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R. Whiteread, Ghost, 1990 (gesso su telaio in acciaio)
Con House, opera del 1993, l’artista fa esplodere questo gesto riuscendo a costruire una vera e propria abitazione ‘al negativo’: una casa inaccessibile, senza interni da poter abitare, realizzata solidificando tutto lo spazio vuoto contenuto da un’unità abitativa vittoriana del quartiere dell’East End, zona povera di Londra caratterizzata da una forte immigrazione e da un disordinato ma significativo assetto urbanistico.
Lo ‘stampo’ originale scompare lasciando apparire la propria assenza, come se il lato nascosto delle nostre vite consumate dietro le solide pareti domestiche venisse fuori, ed esposto sotto la luce del sole e nell’aria che muta continuamente non potesse evitare di rapprendersi in silenzio.
Ovviamente i fantasmi sono scomodi e l’amministrazione del quartiere ha provveduto a demolire l’opera.
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R. Whiteread, House, 1993 (cemento) - demolita
I fantasmi della memoria appaiono nell’Holocaust Memorial (2000), monumento dedicato alle migliaia di ebrei viennesi sterminati dal nazismo, sistemato nella Judenplatz, piazza del vecchio ghetto di Vienna.
Il libro è il custode di una identità religiosa, lo strumento attraverso cui si rinnova il rito. Infatti, oltre alle vite umane, anche i libri scompaiono messi al rogo dal regime.
Questa volta l’artista fa il calco d’una intera libreria di una casa ebraica dell’epoca.
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R.Whiteread, Holocaust Memorial, Vienna 2000 R.Whiteread, Senza Titolo, 2000
(cemento) (gesso, polistirene e acciaio)
È dell’opera d’arte la capacità di aprire certe pieghe oscure del tempo, a volte riuscendo anche ad anticipare delle questioni che tra quelle pieghe si nascondevano o a riprenderne altre che rischiavano la scomparsa. E chi guarda l’opera e ne parla può solo ri-guardarla e ri-parlarne ogni volta, perché non esiste lettura unica e immobile. Insomma alla luce dell’invisibile e incorporeo dilagare del virtuale (dopo quello super-visibile dei mass-media), è oltretutto paradossale parlare delle opere di Rachel Whiteread, artista che da venti anni, con gesso e cemento, dà ‘voce’ e ‘corpo’ a tutto il vuoto che (non) c’è.
Vincenzo Squadroni

mercoledì 26 novembre 2008

B-SIDE ( I ) - by colo artes

Il tramonto e l’alba sono il davanti e il dietro dello stesso
fenomeno: mentre noi che stiamo di qua guardiamo
il tramonto; quelli che stanno di là vedono l’alba.
BRUNO MUNARI, Disegnare il sole
01. I
LATI DI CITTÁ
Il quesito che si apre in questa sezione è:
- si può parlare di lati quando ci riferiamo ad una città?
Un modo per iniziare è mettersi a pensare la città in termini geometrici, secondo varie opzioni:
1) una figura in due dimensioni, che si fa guardare come si guarda un foglio di carta. Non possiamo attraversarla perché non c’è spessore, manca la profondità, e spostandosi dall’altra parte si può guardare il retro del foglio, il suo rovescio.
2) un solido poliedrico, sfaccettato, tanto più complesso quante più facce ha. Il solido è opaco e denso, bisogna girarci attorno per scoprirne tutti i lati, altrimenti quelli opposti rimangono nascosti.
3) stesso solido, ma trasparente. Non importa spostarsi, cambiare di posizione, girarsi attorno per vedere le parti nascoste: tutti i lati si rivelano, basta allontanarsi un po’ e fissare lo sguardo per avere questa appagante visione d’insieme.
4) il solido è cavo, ha un esterno e un interno. Solo se mi metto all’interno vedo che ogni lato ha un’altra faccia, il rovescio di quella esterna.
5) la città non ha lati o facce distinte, né interno né esterno: la sua forma è curva e avvolgente come la superficie di Möbius, i nostri sguardi si posano senza poterla penetrare, perché ci troviamo già all’interno, né possiamo uscire da questa visione perché siamo già anche all’esterno.
6) …
Ci si può anche allontanare da questi luoghi geometrici, e allora l’immagine della città si trasforma ispirata da altri modelli, da altre discipline, e pure dalla fantasia, e si fa forse più vicina alla realtà cosiddetta ‘attuale’.
Italo Calvino, nel suo meraviglioso libro ‘Le città invisibili’, ci ha regalato un vasto repertorio di città irreali, che non è altro che un elenco di possibilità di poter pensare le città reali, di poterle ancora immaginare, quindi di farle esistere.
Moriana ci appare come una città-foglio di carta, con due lati, uno il rovescio dell’altro. Senza prospettiva.
Anche Despina ha due facce, due volti che dipendono dall’occhio di chi la guarda, dal suo desiderio.
Marco Polo: -…Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
- Io non ho desideri né paure,- dichiarò il Kan, - e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso.
- Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
- O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.
(da I.Calvino, Le città invisibili)
Qui di seguito vengono aggiunte due vedute fotografiche di una città, viste da uno stesso occhio ma scattate da due posizioni opposte.
Mi viene da pensarle come due cartoline inviate dallo stesso luogo di vacanza da due turisti con gusti diversi. Sul retro delle cartoline c’è scritto “SALUTI DAL LATO A” e “SALUTI DAL LATO B”.
panorama A
panorama B
Vincenzo Squadroni
Citazioni
In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi da mare.
Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.
(I.Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1995, pp. 17-18)
Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi a un trave marcio.
Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.
(I.Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1995, pag. 105)
Questo blog è il taccuino d’appunti “colo artes” (dal latino, ‘coltivo le arti’).
Il taccuino non ha bisogno di chiavi per essere aperto né di consigli per essere letto: non è un diario segreto e quindi non si chiude, non è un manuale d’istruzioni e quindi non dà spiegazioni.
Il taccuino rimane aperto giorno e notte. (Virtualmente) 
Il taccuino si può dire che ha una sola pagina, ma -sempre virtualmente- mancante del bordo inferiore che ne fissa la fine. Non abbiamo quindi problemi di spazio.
Il taccuino si divide in più elementi tematici, o ‘capitoli’. 
Ogni capitolo, come la pagina che lo accoglie, è aperto: chiunque può sempre intervenire per rimandarne la conclusione. Perciò il taccuino spera di non diventare mai esaurito, né di essere esauriente (che fa esaurire).
Sarebbe una fine.
A dispetto di quanto detto sopra, è la redazione che si propone eventualmente di mettere di tanto in tanto una fine, stampando quanto necessario di ogni capitolo su supporto cartaceo, per poi distribuire il tutto in svariate copie.
L'eventuale stampa si identificherà come tipica rivista culturale con intestazione identica a quella del qui presente taccuino.