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Il Taccuino "colo artes"

Centro informazione, Arte, Cultura e Comunicazione visiva.

giovedì 15 ottobre 2015

IHACA Circle One: Convegno organizzato da IHACA Circle one, dal tito...

IHACA Circle One: Convegno organizzato da IHACA Circle one, dal tito...: foto Stefano Di Domenico by “Nerophotoart-Studio Convegno dal titolo  La Buona Scuola tra presente e futuro,   svoltosi presso l'Aud...

mercoledì 13 maggio 2015

Montecosaro, Località Montecosaro Scalo, S. Maria a Piè di Chienti

Montecosaro, Località Montecosaro Scalo, S. Maria a Piè di Chienti

Comune Montecosaro
Località Montecosaro Scalo
Aperta: 8.00-18.30
Informazioni
Tel. 0733/865241 (Parrocchia)
Visite Guidate
Tel. 0733/560711 (Centralino del Comune)
Tel. 0733/(IAT)

L'abbaziale farfense di S. Maria a Pié di Chienti, detta anche SS. Annunziata, sorge con ogni probabilità nel X secolo (ante 936) sulla sponda sinistra vicina all'estuario del Chienti. Secondo le epigrafi all'ingresso della chiesa e in controfacciata (Avarucci,1975/1990) il committente della ristrutturazione del 1125 fu l'abate Agenolfo o Adenolfo (1125-1146). Anche in epoche successive fu fatta oggetto di vari rimaneggiamenti. L'impianto originario della chiesa con cripta fuori terra e presbiterio sopraelevato collegato con una scala sia alla navata che ai matronei superiori fu falsato dal restauro degli anni Venti del secolo scorso che soppresse lo scalone interno di raccordo tra i due piani con l'effetto di un'inverosimile chiesa doppia. Anche l'attuale facciata in laterizio e il fianco destro sono conformi alla ristrutturazione settecentesca. E' molto interessante da un punto di vista planimetrico per il deambulatorio absidale lungo il quale si aprono tre cappelle radiali secondo il modello borgognone funzionale alla chiesa di pellegrinaggio riconducibile agli itinerari adriatici verso il santuario di Monte S. Angelo nel Gargano e agli imbarchi salentini dei Crociati (Gigliozzi, 1995).  Notevole il Crocifisso ligneo del XV secolo.

L'abbaziale farfense di S. Maria a Pié di Chienti, detta anche SS. Annunziata, sorge sulla sponda sinistra vicina all'estuario del Chienti.  La sua fondazione è da ritenere anteriore al 936, anno in cui risulta citata dal Chronicon Farfense di Gregorio di Catino come possedimento dell'abbazia di Farfa, sotto la cui giurisdizione rimase fino al 1477 quando fu ceduta da Sisto IV all'Ospedale di S. Maria della Pietà di Camerino. Tuttavia sono state avanzate per il manufatto ipotesi di datazione posteriore comprese tra l'XI  e il XII secolo. La Sahler (1995) ha osservato che i pilastri difformi e inarticolati delle navate rinviano all'XI secolo e a S. Claudio al Chienti. Il Brucher (1987) ha rilevato le tangenze lombarde della tecnica del laterizio, delle cornici dentellate e persino dell'uso degli archetti pensili come "davanzali" delle grandi arcate uniche del matroneo come nel S. Ambrogio di Milano, che però è posteriore a S. Maria.
Secondo le epigrafi all'ingresso della chiesa e in controfacciata (Avarucci,1975/1990) il committente della ristrutturazione del 1125 fu l'abate Agenolfo o Adenolfo (1125-1146). Della chiesa di prima fase romanica (XI sec.) sono conservate le parti inferiori: gran parte dell'ambulacro basso, i pilastri circolari dell'abside interna, la parte inferiore delle pareti della navata centrale inclusi i pilastri dei matronei. Forse un terremoto fece crollare le parti alte della chiesa e, nel XII secolo, Agenolfo le fece ricostruire, abside compresa, consolidandole con strutture voltate, cioè matronei e ambulacro superiore (seconda fase romanica). Questa fase dovrebbe aver incluso anche una cripta per ottenere un coro sopraelevato, forse per motivi statici oppure religiosi, cioè per separare il coro dei monaci dai laici e potenziare il ruolo di chiesa di pellegrinaggio (essendo già nel 964 documentata la venerazione di un'immagine miracolosa della Vergine, Pacini, 1965; Laureati, 1969), anche se la sua attuale conformazione è trecentesca, in quanto successiva a un crollo di parte della parete S della navata centrale. Le volte del matroneo dovettero indebolire col tempo i perimetrali della chiesa, fino a rendere necessaria agli inizi del Cinquecento (1504-1510) la loro demolizione e la ricostruzione dei fianchi stessi. Nel XVIII secolo fu rifatto il fianco destro, fu creato lo scenografico scalone interno di raccordo tra i due piani e fu ricostruita la facciata. La zona W della navata fu poi sopralzata per i fedeli anche se i restauri del 1927-1928 e quelli del 1950 soppressero la scala centrale di raccordo, sostituita da due gradinate laterali e il sopralzo. Negli anni Sessanta il nuovo accesso al piano superiore si costruì attraverso una piccola scala sul braccio destro del transetto.
Un elemento di grande interesse è costituito dal fatto che già nella prima fase la chiesa, con forte anticipazione rispetto al romanico francese ed europeo, fosse dotata di un ambulacro e, probabilmente, da tre cappelle radiali, modulo derivato dalle abbaziali di Vignory e Tournus, dalle cattedrali di Orléans, Charters e Rouen, mediati secondo la Gigliozzi (1995) dagli esempi italiani della cattedrale di Aversa (XI sec.) e dall'abbazia di S. Antimo di Castelnuovo dell'Abate (1118). Alla Borgogna sembrano ricondursi anche i massicci pilastri circolari dell'abside (galleria di Tournus, navata di Chapaize).
La pianta si articola in tre navate di dieci campate. Le navate laterali, con volte a crociera, sono raddoppiate in altezza dai matronei, e ambedue i piani si collegano ad oriente in un ambulacro che circonda l'abside interna e si proietta ad E con tre cappelle radiali semicircolari. Due cappelle ulteriori, decorate da affreschi quattrocenteschi di incerta attribuzione e attualmente dotate di un piano alto, sporgono a N e a S prima dell'attacco dell'ambulacro, come un originale pseudotransetto: la settentrionale è quadrata, la meridionale è absidata. La navata centrale, coperta a capriate,  è invece solo parzialmente dotata di un piano superiore; la prima campata forma un atrio con piano alto che collega a W le cappelle laterali; le campate dalla seconda alla sesta sono invece libere in altezza senza solaio intermedio; quelle dalla settima alla decima sono di nuovo dotate di un piano voltato che separa in altezza una cripta inferiore da un coro superiore, entrambi conclusi dall'abside interna.


Bibliografia: Pacini R., Monumenti del periodo romanico nelle Marche, in: Atti dell'XI Convegno di Storia dell'Architettura (Marche 6-13 Settembre 1959), Roma 1965, pp. 151-152; Laureati F., Storia ed arte in terra di Montecosaro, Macerata 1969Brucher G., Die sakkkrale Baukunst Italiens im 11. Un 12. Jahrhundert, Koln 1987, pp. 204-205; Re G., Montirtoni A., Mozzoni L., Le abbazie. Architettura abbaziale nelle Marche, Ancona 1987, pp. 206-213; Montirtoni A., Mozzoni L., Arte medievale benedettina nella provincia di Macerata, Macerata 1990, pp. 194-207; Favole P., Le Marche, Vol. 14 - Italia romanica, Jaca Book, Milano 1993, pp. 189-197; Gigliozzi M. T., in Mariano F. (A cura di),   Architettura nelle Marche dall'età classica al liberty, Fiesole 1995, pp.  156-157; Sahler H., Buchbersprechung a Paolo Favole: Le Marche, "Zeitschrift fur Kunstgeschichte", 58 (1995), pp. 269-270; Sahler H., San Claudio al Chienti und die romanischen Kirchen des Vierstutzentypus in den Marken, Munster 1998, pp. 195, 198; Castignani C., Cicconi R., Montecosaro a S. Maria di Chienti nei documenti dei secoli XIV-XV, in Atti del XXXIII Convegno di Studi Maceratesi (Potenza Picena 22-23 Novembre 1997), Macerata 1999 (Studi Maceratesi 33), pp. 683-810; Avarucci G., S. Maria a Pié di Chienti, Montecosaro 1999; Piva P., Patrimonio artistico-italiano Marche Romaniche, Jaca Book, Milano 2003, p. 69-83.

T. Marozzi

L'intera schedatura sulle abbazie della Provincia di Macerata a cura di T. Marozzi è disponibile sul sito TUMA - Il turismo culturale in provincia di Macerata

giovedì 5 marzo 2015

Una serata all'insegna dell'amicizia!

E’ stata organizzata una serata conviviale, per l’apertura di una nuova associazione culturale … IHACA Circle One

Era stato invitato un gruppo di giovani cantautori che fecero sapere, appena il giorno prima, che non potevano venire. La presidente mi chiese di … inventarmi qualcosa!

Poiché eravamo tutti civitanovesi o per nascita o perché venuti dopo le nozze, portai con me un libro dal titolo “Civitanova e le grandi firme”.

Ero certa che le mie letture sarebbero state sommerse dal brusio proveniente dagli ospiti che, giustamente, avrebbero amato parlare tra loro.

Fui piacevolmente stupita dal grande silenzio durante le letture che avveniva tra una pietanza e l’altra.

Quando esaurii le letture che mi ero preparata, dalla sala venne la richiesta di leggere ancora.

Quindi, oltre all’ottimo menù ci fu anche la soddisfazione di constatare che gli ospiti erano sensibili agli scritti veramente interessanti.

Quale migliore inizio per una associazione culturale?

Iole Morresi 

mercoledì 4 marzo 2015

Presentazione di IHACA Circle One


Sabato 28 febbraio 2015, presso il ristorante  “L’Antico  Uliveto”, a Porto Potenza Picena, si è tenuta la presentazione di IHACA  Circle One, primo Circolo di una ONLUS per l’Arte, la Cultura, la Solidarietà.
Il circolo nasce a Civitanova Marche a seguito della registrazione dell’Associazione internazionale con atto notarile,  risalente allo scorso anno.
La presidente Licia Cecchini, i soci fondatori, il Consiglio Direttivo hanno ufficialmente comunicato alla presenza di graditi ospiti, che a Giugno inizierà l’anno sociale 2015/2016.
Ha accompagnato la cena, una degustazione di vini offerti dalla cantina Santori, presentati e raccontati dal titolare e Direttore Commerciale Sig. Franco Lamia.

La serata è stata inoltre allietata da piacevoli e coinvolgenti letture su Civitanova Marche, scritte da nomi illustri del giornalismo italiano, brillantemente declamate dalla Sig.ra Iole Morresi,  fondatrice e presidente della scuola di recitazione “E. Cecchetti”.  foto Stefano Di Domenico by "Nerophotoart-Studio".  















venerdì 2 marzo 2012

27 Gennaio "giornata della memoria”



“27 Gennaio”, data importante per la storia mondiale: in questo giorno, nel 1945, i cancelli di Auschwitz sono stati abbattuti. Ancora oggi viene ricordato, questo giorno, sotto il nome di “giornata della memoria”  e per questa occasione, la nostra classe, su sollecitazione della professoressa di italiano, ha realizzato una presentazione su Power Point; chi ha cercato poesie famose, chi testimonianze dirette di sopravvissuti, chi ha consultato varie fonti. A conclusione del lavoro, mi è venuto spontaneo riflettere sugli argomenti trattati e ho pensato che:
 “I libri e i testi che ho letto sul nazismo, e sulla deportazione degli ebrei sono molti, innumerevoli quasi. A volte mi sono chiesta a cosa serviva farlo. Mi sono risposta quasi subito: a ricordare, a capire. Siamo sicuri che qualche parola scritta su un foglio riesca a raccontare tutto ciò che è successo, a farci immedesimare in un bambino, per esempio, costretto a vedere i propri genitori, la propria casa, il giocattolo preferito sparire nel nulla, distrutti e sostituiti da cellette e camere a gas?  Chi può comprendere il dolore di una donna, nel guardare i suoi figli e suo marito costretti a morire, o la rassegnazione di un nonno che mai riuscirà a vedere i nipoti crescere e diventare grandi. Non lo so, non credo, Non ci credo soprattutto quando sento persone che insultano una popolazione intera, generalizzando, che si spostano quando uno straniero si siede vicino a loro, quando chiamano le persone di colore “negri”, o quando storcono il naso alla vista di qualcuno diverso da loro. Questi comportamenti sono assurdi, e ti spingono a chiedere per cosa tutta quella gente è morta, se questi pregiudizi persistono ancora oggi? Capita spesso di sentire o vedere cose del genere, purtroppo, e sono quelli i momenti in cui riesci perfettamente a capire quanto le nostre generazioni, quelle chiamate moderne, possano essere ottuse e arretrate. La gente qui, condanna i nazisti, e dice che la razza “ariana” non esiste, ma comportandosi così, non conferma forse il loro credo? Mi rivolgo direttamente a voi, che vi proclamate razzisti: pensate di essere tanto migliori di chi, tanto tempo fa, ha sparato addosso a tutti quegli ebrei?”

Alice Pietrella
III^A “L. Pirandello”
Civitanova Marche (MC)




   


martedì 16 dicembre 2008

B-SIDE ( II ) - by colo artes

01.II
TRACCE DI VITA: alcune opere di Rachel Whiteread
Rachel Whiteread nasce a Londra nel 1963, si diploma in pittura e scultura, e dalla fine degli anni ‘80 realizza le sue opere usando come calchi oggetti reali presi dalla vita quotidiana: tavolini, porte, armadi, vasche da bagno, letti, ecc. Quello che ne viene fuori è un inventario domestico ‘al negativo’, gli stessi oggetti cioè ri-presentati al rovescio.
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1 Installazione della mostra ‘Walls, doors, floors and stairs’, Kunsthaus Bregenz 2005

2 R. Whiteread, In Out – IX, 2004 (gesso con intelaiatura d’alluminio)
Un’operazione che filtra il concetto di ready-made (vedi Duchamp, dal 1913) e le ricerche di Bruce Nauman che a metà degli anni ’60 dava forma cementizia allo spazio vuoto sotto una sedia.
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Bruce Nauman, A cast of the space under my chair, 1965-68 (cemento)
Ma ciò che distingue l’opera della Whiteread è questa sorta di ‘rivoluzione silenziosa’ che sembra essere scatenata da un forte sentimento di affezione verso le cose e lo spazio in cui stanno, e da un desiderio urgente di interrogarsi sul senso del tempo (e dello spazio) e sugli effetti provocati dalla perdita di questo senso nella nostra vita.
Allora risulta che mentre noi ci sforziamo a pulire, rinnovare, lucidare e far splendere le superfici delle cose che usiamo, l’artista ricalca invece i segni dell’usura, le imperfezioni, le mancanze dimostrando che le cose sono sensibili e registrano nostro malgrado la vita (mentre noi pensiamo ad altro!). Ma si tratta di segni anonimi, impersonali, che non dicono il nostro nome, non svelano l’identità come invece fanno le impronte digitali, e quindi non ci interessano.
Si tratta di un servizio automatico e gratuito offerto dalle cose, una specie di archivio universale del nostro fragile passaggio che venendo selezionato, ricalcato e ri-attivato in un nuovo contesto si costituisce come opera d’arte.
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R. Whiteread, Yellow Bed, 1991 (gesso odontotecnico)
L’intervento può allargare il suo campo di ricerca, assumendo dimensioni via via più ampie: la stanza in cui siamo chiusi, la casa che abitiamo, il quartiere e la città in cui viviamo.
Ad ognuna di queste scale di grandezza si collega un ambito d’indagine critica che dal particolare s’allarga alla realtà globale: la memoria personale e collettiva, i rapporti sociali, la gestione speculativa del suolo pubblico, il sistema consumistico, la comunicazione virtuale, ecc., ovviamente non presi in sé ma connessi in un unico tessuto.
Con Ghost, opera del 1990, l’artista materializza il vuoto che c’è dentro una stanza (in questo caso un interno di tipica casa vittoriana londinese) e lo mostra a sua volta all’interno di uno spazio espositivo. Farà la stessa cosa con il calco dell’ufficio di George Orwell, lavoro realizzato su commissione della BBC nel 2003.
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R. Whiteread, Ghost, 1990 (gesso su telaio in acciaio)
Con House, opera del 1993, l’artista fa esplodere questo gesto riuscendo a costruire una vera e propria abitazione ‘al negativo’: una casa inaccessibile, senza interni da poter abitare, realizzata solidificando tutto lo spazio vuoto contenuto da un’unità abitativa vittoriana del quartiere dell’East End, zona povera di Londra caratterizzata da una forte immigrazione e da un disordinato ma significativo assetto urbanistico.
Lo ‘stampo’ originale scompare lasciando apparire la propria assenza, come se il lato nascosto delle nostre vite consumate dietro le solide pareti domestiche venisse fuori, ed esposto sotto la luce del sole e nell’aria che muta continuamente non potesse evitare di rapprendersi in silenzio.
Ovviamente i fantasmi sono scomodi e l’amministrazione del quartiere ha provveduto a demolire l’opera.
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R. Whiteread, House, 1993 (cemento) - demolita
I fantasmi della memoria appaiono nell’Holocaust Memorial (2000), monumento dedicato alle migliaia di ebrei viennesi sterminati dal nazismo, sistemato nella Judenplatz, piazza del vecchio ghetto di Vienna.
Il libro è il custode di una identità religiosa, lo strumento attraverso cui si rinnova il rito. Infatti, oltre alle vite umane, anche i libri scompaiono messi al rogo dal regime.
Questa volta l’artista fa il calco d’una intera libreria di una casa ebraica dell’epoca.
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R.Whiteread, Holocaust Memorial, Vienna 2000 R.Whiteread, Senza Titolo, 2000
(cemento) (gesso, polistirene e acciaio)
È dell’opera d’arte la capacità di aprire certe pieghe oscure del tempo, a volte riuscendo anche ad anticipare delle questioni che tra quelle pieghe si nascondevano o a riprenderne altre che rischiavano la scomparsa. E chi guarda l’opera e ne parla può solo ri-guardarla e ri-parlarne ogni volta, perché non esiste lettura unica e immobile. Insomma alla luce dell’invisibile e incorporeo dilagare del virtuale (dopo quello super-visibile dei mass-media), è oltretutto paradossale parlare delle opere di Rachel Whiteread, artista che da venti anni, con gesso e cemento, dà ‘voce’ e ‘corpo’ a tutto il vuoto che (non) c’è.
Vincenzo Squadroni

mercoledì 26 novembre 2008

B-SIDE ( I ) - by colo artes

Il tramonto e l’alba sono il davanti e il dietro dello stesso
fenomeno: mentre noi che stiamo di qua guardiamo
il tramonto; quelli che stanno di là vedono l’alba.
BRUNO MUNARI, Disegnare il sole
01. I
LATI DI CITTÁ
Il quesito che si apre in questa sezione è:
- si può parlare di lati quando ci riferiamo ad una città?
Un modo per iniziare è mettersi a pensare la città in termini geometrici, secondo varie opzioni:
1) una figura in due dimensioni, che si fa guardare come si guarda un foglio di carta. Non possiamo attraversarla perché non c’è spessore, manca la profondità, e spostandosi dall’altra parte si può guardare il retro del foglio, il suo rovescio.
2) un solido poliedrico, sfaccettato, tanto più complesso quante più facce ha. Il solido è opaco e denso, bisogna girarci attorno per scoprirne tutti i lati, altrimenti quelli opposti rimangono nascosti.
3) stesso solido, ma trasparente. Non importa spostarsi, cambiare di posizione, girarsi attorno per vedere le parti nascoste: tutti i lati si rivelano, basta allontanarsi un po’ e fissare lo sguardo per avere questa appagante visione d’insieme.
4) il solido è cavo, ha un esterno e un interno. Solo se mi metto all’interno vedo che ogni lato ha un’altra faccia, il rovescio di quella esterna.
5) la città non ha lati o facce distinte, né interno né esterno: la sua forma è curva e avvolgente come la superficie di Möbius, i nostri sguardi si posano senza poterla penetrare, perché ci troviamo già all’interno, né possiamo uscire da questa visione perché siamo già anche all’esterno.
6) …
Ci si può anche allontanare da questi luoghi geometrici, e allora l’immagine della città si trasforma ispirata da altri modelli, da altre discipline, e pure dalla fantasia, e si fa forse più vicina alla realtà cosiddetta ‘attuale’.
Italo Calvino, nel suo meraviglioso libro ‘Le città invisibili’, ci ha regalato un vasto repertorio di città irreali, che non è altro che un elenco di possibilità di poter pensare le città reali, di poterle ancora immaginare, quindi di farle esistere.
Moriana ci appare come una città-foglio di carta, con due lati, uno il rovescio dell’altro. Senza prospettiva.
Anche Despina ha due facce, due volti che dipendono dall’occhio di chi la guarda, dal suo desiderio.
Marco Polo: -…Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un’altra.
- Io non ho desideri né paure,- dichiarò il Kan, - e i miei sogni sono composti o dalla mente o dal caso.
- Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.
- O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere, come Tebe per bocca della Sfinge.
(da I.Calvino, Le città invisibili)
Qui di seguito vengono aggiunte due vedute fotografiche di una città, viste da uno stesso occhio ma scattate da due posizioni opposte.
Mi viene da pensarle come due cartoline inviate dallo stesso luogo di vacanza da due turisti con gusti diversi. Sul retro delle cartoline c’è scritto “SALUTI DAL LATO A” e “SALUTI DAL LATO B”.
panorama A
panorama B
Vincenzo Squadroni
Citazioni
In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi da mare.
Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar, sbattere le maniche a vento bianche e rosse, buttare fumo i fumaioli, pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella carena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterreno, ognuna con una donna che si pettina.
Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le danzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo.
Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.
(I.Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1995, pp. 17-18)
Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi a un trave marcio.
Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.
(I.Calvino, Le città invisibili, Mondadori, Milano 1995, pag. 105)
Questo blog è il taccuino d’appunti “colo artes” (dal latino, ‘coltivo le arti’).
Il taccuino non ha bisogno di chiavi per essere aperto né di consigli per essere letto: non è un diario segreto e quindi non si chiude, non è un manuale d’istruzioni e quindi non dà spiegazioni.
Il taccuino rimane aperto giorno e notte. (Virtualmente) 
Il taccuino si può dire che ha una sola pagina, ma -sempre virtualmente- mancante del bordo inferiore che ne fissa la fine. Non abbiamo quindi problemi di spazio.
Il taccuino si divide in più elementi tematici, o ‘capitoli’. 
Ogni capitolo, come la pagina che lo accoglie, è aperto: chiunque può sempre intervenire per rimandarne la conclusione. Perciò il taccuino spera di non diventare mai esaurito, né di essere esauriente (che fa esaurire).
Sarebbe una fine.
A dispetto di quanto detto sopra, è la redazione che si propone eventualmente di mettere di tanto in tanto una fine, stampando quanto necessario di ogni capitolo su supporto cartaceo, per poi distribuire il tutto in svariate copie.
L'eventuale stampa si identificherà come tipica rivista culturale con intestazione identica a quella del qui presente taccuino.